Voi siete liberi di non credermi, ma io a Trento ho incontrato un panda. Mi trovavo all’angolo che il Fersina compie davanti al liceo Galilei, quando vidi il plantigrado nero e bianco rotolar giù dalla salita che corre lungo il convento dei francescani. Mi fermai stupito – e come poteva essere altrimenti?, in provincia c’erano stati avvistamenti di orsi, ma certo non di questa razza orientale – e fui quasi colto dal dubbio di aver esagerato con gli aperitivi al Kierkegaard, noto bar dei dintorni per sfaccendati. Il panda appariva assai goffo e al tempo stesso celere, mentre con disinvoltura si chiudeva a palla in un vago tentativo di compiere quelle che fatte da un umano si sarebbero potute definire delle capriole. Portava le zampe anteriori al di sopra della testa come per stiracchiarsi, chinava il muso in avanti e lo seguiva con tutto il corpo, rotolando per un paio di metri lungo la discesa fino a fermarsi nuovamente seduto sulle zampe posteriori.
La strada era stretta e camminando non potei non incrociare il suo percorso, ritrovandomi davanti a lui proprio nel momento in cui terminava un giro.
«Salve» esordii io fingendo disinvoltura.
«Ciao» rispose lui in tono cordiale dopo un breve attimo di pausa.
«Hai un curioso modo di camminare» dissi, buttando fuori la prima cosa che mi passava per la testa pur di non pensare all’ambiguità della scena.
«O sei tu a che non scendi per le discese nel modo più divertente» rispose lui.
«Temo di non avere il fisico adatto, come vedi avrei delle difficoltà a chiudermi a palla»
Il panda iniziò a scrutarmi. Sembrava stupito dal mio aspetto, anche se devo ammettere di aver faticato non poco a scorgere la reale profondità dell’espressione del suo sguardo: il pelo nero intorno ai suoi occhi aveva qualcosa di particolare che risucchiava la mia attenzione.
«Sai, pare che tu abbia l’occhio destro più grande del sinistro» ripresi io.
«Davvero? Sei il primo a notarlo» disse lui abbassando timido il muso e portando una zampa davanti al naso.
«Impossibile, è così evidente! Vorrà dire che sono il primo a guardarti negli occhi» sentenziai.
«Non pensavo di avere uno sguardo così pesante da sostenere»
«Non lo hai infatti. Saranno tutti distratti da altro» conclusi con una frase fatta, non trovando in realtà come qualcuno potesse non notare una simile curiosità fisica.
«Anche tu sei strano» disse lui rialzando lo sguardo su di me «Ad esempio puzzi di un alimento a me sconosciuto»
«È colpa dell’aperitivo»
«Quindi quello che sento è l’odore della birra?» chiese il panda incuriosito.
«Vino» lo corressi.
«A quest’ora?»
«È sempre l’ora giusta per il prosecco» risposi con un tono di finta alterigia.
Mi sentii abbastanza sicuro di come il dialogo si stava evolvendo per osare una domanda personale, senza al tempo stesso poter evitare però di sentirmi a disagio nell’addentrarmi in quella che sospettavo essere l’essenza del mio interlocutore.
«Scusami in anticipo se sarò troppo indiscreto, ma devo proprio chiederti come mai voi panda abbiate compiuto la scelta di mangiare solo bambù» buttai fuori quasi senza respirare.
«Scelta? Perché dici così?» mi rispose stupito.
«Beh, voi non differite molto nella costituzione dagli orsi bruni, e la loro dieta è assai più varia della vostra. Non vi manca nulla per, che ne so, cacciare oppure cibarvi anche di altre piante» osservai.
«E perché dovrei mangiare qualcosa di diverso dal bambù? Il bambù mi sfama»
«Per variare, no? E per soddisfare capricci di gola. Ad esempio in questo momento adorerei avere delle noccioline. Anzi no, del burro di arachidi spalmato su biscotti ai cereali!» dissi facendo schioccare la lingua.
«Non penso che la tua cena possa essere migliore del mio bambù»
«E invece un esempio simile dovrebbe renderti chiaro il tutto. Poni di non essere per destino legato al bambù, ma bensì al burro di arachidi: passeresti le tue giornate a mangiare quella crema salata, sentendo a tutte le ore la sua viscosità impiastrarti il palato e la lingua allappata dai residui della pelle delle noccioline; il tutto senza avere mai l’occasione di assaggiare del ghiotto bambù»
«No!!» aveva un modo assai dolce di disperarsi, come se invece che a se stesso si riferisse ad un oggetto innocente vittima di una piccola ingiustizia «È una prospettiva terribile» continuò.
«Forse. Ma già che siamo sull’argomento, toglimi una curiosità: di cosa sa il bambù?» chiesi.
«Come posso rispondere? Non ho assaggiato altro nella vita» sembrava sinceramente stupito della domanda «Il gusto è qualcosa che serve a voi mangiatori di troppi piatti per giustificare la continua ricerca di altro» concluse, come se stesse spiegando una cosa ovvia e banale.
«Ma è il gusto a dare la gioia nel nutrirsi! »
«Penso sia più piacevole sentirsi pieni, tranquilli e sonnacchiosi dopo un pasto abbondante»
«Non mi convince. Un piatto gradevole lo percepisco come tale anche senza lo stimolo della fame»
«Confondi l’amore disinteressato con il bisogno di soddisfare un bisogno mai soddisfacibile»
La sua uscita mi lasciò in silenzio, bloccato nel cercare di comprendere la sua frase e al tempo stesso nel tentativo di raccogliere dal fondo della mia testa un concetto che potesse ribattere efficacemente al suo.
Il muro del monastero che racchiudeva la scena da un lato poggiava direttamente sulla viva roccia. Su quei cumulonembi pietrificati i ragazzini del posto avevano lasciato un segno del loro passaggio con tratti fosforescenti. Ora, seppur nella penombra della luce notturna di un lampione, la lode all’abilità di Susanna nell’amoreggiare risplendeva vivida, circondata da tag e scarabocchi assai meno significativi.
«Sappi che anche le vostre abitudini sessuali mi lasciano parecchio perplesso» dissi io, come colpito da un pensiero al volo.
«Hai un naso lungo, ma non devi per forza annusare in tutti i miei affari» rispose risentito «Almeno a letto potrò comportarmi come voglio, no?»
«Sì, ma il mio appunto voleva essere sulla quantità, non sulla qualità»
«Sei un animale impulsivo, non mi puoi capire»
«E tu troppo contenuto nelle passioni, il che ti sta portando all’estinzione» dissi con una cattiveria di cui mi pentii nel momento stesso in cui le parole mi uscivano dalla bocca. Lui iniziò a ciondolare il capo leggermente a destra e sinistra, senza mai smettere però di fissarmi.
«Ormai è buio» dissi guardano il cielo, dove le calde tonalità del tramonto avevano lasciato posto a nubi colorate dalle fredde luci della città.
«Lo sai? Sia la luce che l’ombra vengono da Oriente» disse il panda senza aver smesso di fissarmi.
«Anche i panda» risposi «È per quello che siete bianche e neri?»
«Tu quale delle due preferisci?» continuò lui come se non mi avesse sentito.
«Dipende dall’ora del giorno»
«Vedi?!» fece lui, battendosi una zampa sulla coscia per esaltare la correttezza della sua previsione «Sei incostante perfino nei gusti!»
Io avevo seguito più il movimento del suo arto che il suo ragionamento. Visto da vicino sembrava decisamente un orso e trovavo gli artigli che armavano la sua zampa assai minacciosi. La pelliccia era percorsa da larghe macchie bicromatiche, salvo una piccola chiazza di pelo marroncino sul fianco dalla forma di una grossa farfalla o di un uomo impegnato in un’arrampicata su un tetto orizzontale. Nel complesso non si poteva considerare meno ambivalente nella forma che nel colore del pelo: sotto certi aspetti la sua rotondità lo rendeva totalmente inoffensivo, ma a momenti lasciava trasparire tratti ben più duri e selvaggi.
Io nel frattempo mi ero appoggiato al parapetto posto tra la strada e un vicolo privato. La casa sottostante sembrava assai graziosa, per quanto convenzionale, ma una manutenzione lasciva iniziava a far corrodere la sua bellezza dai segni del tempo, con l’intonaco che ormai lasciava liberi gli strati di colore sottostanti, i quali a loro volta appesantivano il lembo pendente fino a far scorgere il cemento e le macchie di umido su di esso, proprio dove queste formavano una radiografia dei pilastri e dei pavimenti dei piani.
Il vento freddo iniziò ad infastidirmi.
«Capisco ora il significato di “freddo pungente”: mi sento le orecchie come trafitte da tanti piccoli aghi» dissi.
«Ti presterei un po’ della mia pelliccia per scaldarti, ma non riesco a sputare palle di pelo come i gatti»
«Apprezzo il pensiero, un po’ meno l’immagine con cui l’hai reso» dissi mimando un arretramento disgustato «Pensarti in un simile frangente ti fa perdere molta della grazia che il tuo aspetto ispira»
«Grazie per il complimento» disse lui con una dolcezza sincera.
«Non ti allargare, non sei il mio tipo» dissi per spezzare la spirale in cui il discorso stava cadendo.
«Scegli con cura: si è ciò che si ama» riprese lui noncurante.
«Allora chi è il nulla? Tu o io?» incalzai.
«Dipende. Sei tu a scegliere, scegliendo sempre, ma quindi non scegliendo mai, o sono io a scegliere, avendolo fatto una sola volta nella vita?» il suo tono era in grado di accelerare in modo sorprendente quando se ne usciva con queste massime, cosa che mi distraeva assai più del loro contenuto.
«E io come posso distinguerti dagli altri panda, se voi tutti avete compiuto la medesima scelta?»
«Non saresti comunque in grado di distinguerci e questa cosa mi rende molto triste» disse con un tono fin troppo sentito.
«Hai un modo strano per esprimere i sentimenti tramite le espressioni del muso. Sembra che tutte le tue emozioni siano diluite, presenti ma incapaci di intaccare quello che sei nel profondo» ripresi io.
«Hai un modo complesso di parlare per non riuscire ad esprimere i tuoi di sentimenti»
«È un problema riconosciuto, si chiama alessitimia»
«Smettila di prenderti gioco di me» disse triste «So che mi credi tonto, non farci ironia»
«Non potrei mai farne dell’ironia. L’ironia è pericolosa. La vera ironia la si usa come salvagente d’emergenza, ma il suo uso prolungato invece ti avvelena. L’ironia ha una funzione negativa, di critica distruttiva che non sa costruire qualcosa dalla tabula rasa che fa tutt’intorno a sé» dissi quasi incapace di contenermi «Ormai pure la pubblicità si serve di essa per vendere, come potrei quindi fidarmi di lei?»
«Mi fai paura quando fai così» disse chiudendosi leggermente su se stesso.
«Le cose che per me sono importanti tu le vedi come un nemico, senza renderti conto di come siano, in effetti, proprio il “me” che ti affascina e ti spinge a non abbandonare questa nostra conversazione»
«Potrei dire lo stesso di te» rispose «Ed è stato piacevole, ma ora devo proprio andare» e mentre diceva ciò si risistemò come per iniziare una capriola «Immagino che anche se sparirò tu non ti dimenticherai in fretta di me»
«Tutti ritengono che io abbia un’ottima memoria» dissi con una lieve sfumatura irritata nella voce «A volte preferirei si sbagliassero»
Lui mi sorrise. Io gli scompigliai i peli del capo con un gesto affettuoso della mia proboscide, poi mi girai verso la salita e ripresi a portare le mie poco agili quattro zampe verso qualcos’altro.
Dopo soli tre passi mi resi conto di essere sorpreso da una cosa.
Del resto alcune rette sono parallele e altre ogni volta incidenti, per abitudine o per attitudine, incontrandosi in un punto per non ritrovarsi mai.
davvero brillante questo racconto filosofico. somiglia ad un’equazione smatematica che sviluppando costanti e incostanti si rende gradualmente *conto* di se e di sé. ed ecco che il panda, e l’elefante, come pure l’emisferoide e il sarchiapone, diventano tutte maschere godibilissime dell’immaginario della scimmia nuda con cui dobbiamo confrontarci quotidiana-mente (che s’abbia o meno esagerato col prosecco al Kierkegaard). in tal senso, soprese (e penombre) sono turbo-lenze preziose, capaci di andare a pescare parole e significati più oltre, affrancandosi dalle vasche da acquacoltura. mmm… aggiungo solo, riguardo all’ironia, che forse è non è più pericolosa della lama di un coltello (in una strada buia, temerei di più un malintenzionato con arma da taglio che un malintenzionato ironico). eppure del coltello ne faccio uso da una vita, minimo due volte al giorno, ma non m’ha ancora avvelenato…
: )
Grazie! Ottima chiave di lettura. E se è pericoloso esagerare con Morris (Desmond e Philip) e Kierkegaard, col prosecco si può invece osare di più senza temere pericolose ricadute spirituali (al massimo spirito-se).
Riguardo all’ironia: è come un coltello o un paio di leggings: dipende chi, come e dove si usa! Inoltre non sottovaluterei il doppio fastidio di un rapinatore che oltre ad estorcermi denaro col coltello ci dovesse far sopra anche dell’ironia.