Era una notte buia e tempestosa

Lei forse sarebbe venuta e Traverso ne approfittò per sedersi ad aspettarla in balcone. Con sé prese una bottiglia, un bicchiere, una penna e un taccuino che aveva la necessità di sporcare con le sue parole. Le finestre dei palazzi di fronte erano tutte spente e sembravano più buie della notte che sovrastava l’edificio. Solo da un pertugio proveniva una debole luce scura e intermittente, come se all’interno si stesse osservando un film virato seppia. Intuiva di essere immerso in una zona densamente abitata, ma al tempo stesso si sentiva solo, osservato unicamente da fantasmi che non si palesavano, i quali immobili attendevano nell’ombra di finestre aperte su appartamenti e su mondi diversi; mondi in cui il tempo non era fermo, ma scorrendo così velocemente poteva prendersi il lusso di impiegare ore a fissare un limbo stagnante.

L’umidità iniziava a salire e a riempire l’aria col suo profumo appiccicoso, a cui si era legato quello dei fiori di una qualche pianta dei dintorni. Traverso si sistemò sulla vecchia poltrona in vimini incrociando le mani dietro la nuca. Gli occhi stanchi non gli permettevano di cogliere la reale profondità del nero della notte, riempiendo l’oscurità di piccole imperfezioni luminose e opache. Rimase comunque a osservare il cielo, cercando di distinguere le poche stelle presenti dai difetti ottici, finché nel vicolo d’ingresso non passò un cane solitario. Lo scrittore emise uno schiocco con la lingua per attirare l’attenzione dell’animale. Questo si fermò per un istante, guardando con sospetto verso la sorgente del rumore, poi senza averla individuata con precisione riprese a camminare lento finché non venne inghiottito dalla siepe.

L’aria della sera si era fatta particolarmente fredda per essere una giornata estiva. Si era alzata una lieve brezza che aveva mosso l’aria calda e densa del giorno. Il sudore che aveva formato una sottile patina su tutta la pelle iniziò ora ad asciugarsi, facendolo rabbrividire. Traverso entrò in casa e si mise una felpa in materiale sintetico. Immediatamente, allontanato il vento notturno dalla sua pelle, la temperatura ambientale sembrò risalire. Trovava impossibile che uno strato così sottile di tessuto potesse isolarlo con tanta efficacia dal freddo esterno: sembrava possedere un calore suo, come fosse un essere vivente a riscaldarlo col tepore del proprio corpo. Iniziò ad indagare su di essa. La fodera era formata da una trama di quadratini morbidi, che creavano un cuscinetto d’aria isolante. Il tessuto esterno era invece più rigido e liscio, fornendo una parvenza d’impermeabilità e protezione dal vento. La sensazione di una terza persona che lo avesse abbracciato mentre indossava quel capo sarebbe stata di gelo e impenetrabilità, ma al suo interno si rimaneva invece caldi e coccolati.

In alto la luna era piena a metà e rimpallava la sua luce tra due fasce di nubi, una al di sopra e una al di sotto di essa. Lampi di luce tradivano la presenza lontana di un temporale che stava disturbando altre veglie all’aperto, negando qui la bellezza di uno spettacolo pirotecnico naturale. La via che dal remoto mondo esterno conduceva alla casa era in leggera discesa, affiancata su un lato da un filare di alberi e sull’altro da vecchi lampioni dalla luce calda e che non feriva il buio della notte. Qualche sparuta auto la percorreva, piegando però sempre sulla destra per seguire la strada principale, lanciando solo fasci di luce sul tavolino su cui Traverso aveva posto le sue cose, facendolo sussultare e alimentando l’attesa per la macchina di Lei.
Per far passare il tempo prese un libro che aveva iniziato tempo fa e che non riusciva a terminare: lo aveva in casa come fosse un vecchio gatto, al quale dedicare poche cure in sovrappensiero e mai vera attenzione. Leggeva del pianto di una donna. Poteva sentire il calore delle lacrime e vederle mentre queste macchiavano il cappotto verde militare. Il suo profumo era dolce e giovane. Avrebbe voluto circondarle i fianchi con un braccio. Le sue di parole invece si ritraevano, sfuggivano, scappavano, finendo per impigliarsi nelle tende di una catena di negozi di mobilia, impreziosendo il tessuto chiaro con le trame delle lettere scritte a mano, ma lasciando vergine il foglio bianco. Le introspezioni crescevano con la luce della luna, finché anch’essa non rimase intrappolata dietro un grosso banco di nubi nere e gonfie. Queste in breve occuparono tutta la porzione di cielo visibile dal balcone e sulla ringhiera iniziò a risuonare il ticchettio delle prime gocce. Le gocce si fecero pioggia e la pioggia si fece temporale.
L’acqua scendeva a scrosci densi, cadenzati dalle raffiche di vento. Dopo ogni tuono il rumore della pioggia sembrava aumentare, con uno scrosciare che andava a coprire ogni altro suono nella notte. Il rombo dopo il lampo durava a lungo e il forte schiocco iniziale faceva vibrare ogni oggetto vicino a Traverso. Lui si accorse di star digrignando i denti da non sapeva quanto tempo, al punto che i muscoli del volto si erano ormai indolenziti. Li rilassò e con la lingua iniziò a percorrere le punte dei molari, copiandone il profilo ed esercitano su ognuna di esse una lieve pressione.

tendaggio

Ad un tratto vide un insetto minuto correre tra le righe del foglio. Aveva movimenti saccadici: scattava per qualche millimetro, si fermava e ripartiva immediatamente per una direzione diversa, come se avesse perso qualcosa e lo stesse disperatamente cercando. Iniziò ad inseguirlo con la punta della penna, tracciando sulla pagina bianca la traiettoria spezzata dell’animale, finché non realizzò che la vita di quell’insetto era nelle sue mani. Poteva ucciderlo con un solo gesto del dito, oppure avrebbe potuto depositarlo su una pianta o addirittura nutrirlo e prendersi cura di lui. Per quell’insetto era un essere onnipotente, e l’animaletto forse non era neppure cosciente della sua presenza, così potente e terribile.
Un peto metallico riempì l’aria, il telefono s’illuminò e Traverso decise di tornare a ignorare il destino di quell’esserino che per qualche minuto era rimasto sotto il suo totale controllo. Era in uno di quei momenti in cui si sentiva triste, anche se triste non era la parola giusta per indicare quell’umore malinconico e scuro. Forse neppure depresso centrava il nodo che si formava a metà tra stomaco e gola; mentre angoscia lo sbozzava solo in una sua parte. Quale che fosse la parola con cui rivestire questa sensazione, in quel momento si sentiva infastidito dalle persone, in particolare da quelle che cercavano di comunicare con lui, e lui sapeva di poter diventare un fastidio per loro. Quindi, al contrario di quello che faceva di solito, non guardò neppure i messaggi giunti sul cellulare e lo spense.

In quel momento ebbe come il presentimento che una figura mostruosa fosse apparsa alle sue spalle. Era Lei, ma trasfigurata in maniera orribile, come se uscita da un terribile incidente stradale. Sapeva che quell’immagine era solo una suggestione auto-indotta, ma i brividi freddi che gli percorrevano il corpo erano reali. Sarebbe bastato smettere di pensarci per farla sparire; e non vedere più quell’immagine era la cosa che ora voleva più al mondo, ancor più di vedere Lei reale, più di finire il suo libro. Ma non riusciva a far correre i pensieri secondo il suo volere, a non pensare a quell’orrore, a smettere di figurarsi quell’immagine, continuando anzi ad arricchirla con particolari sempre più raccapriccianti. Quando arrivò a sentire il peso della sua mano sulla spalla gli occhi gli si riempirono di lacrime. Un filo di vento gelido alitò in quel momento, ma invece che far sparire quella sensazione, produsse un urlo acuto e ancestrale.
Traverso capì che non poteva fermarsi, non poteva arrestare la discesa nell’infinito della matassa dei pensieri che si impadronivano della sua mente contro la sua coscienza. Ma sapeva anche di non essere in grado immaginare il suo odore, e questo era l’unico appiglio positivo a cui si afferrò cercando un barlume di razionalità: non avrebbe potuto sopportare se gli fosse entrato nelle narici il profumo metallico del sangue e l’odore dolciastro e nauseabondo delle interiora. Ma l’immaginazione continuava ad avanzare e la figura si avvicinava sempre di più a lui attonito e terrorizzato. Iniziò a girarsi sulla sedia, urtando un bicchiere che cadendo si ruppe in grossi pezzi, senza che questo distraesse lo scrittore da quello che la sua mente stava producendo. Il mondo iniziò a stringersi e chiudersi come in un tunnel. Il tetto e il pavimento si avvicinavano con un moto veloce e costante. Da una parte del tunnel c’era Lei, sempre più trasfigurata e mostruosa, in mezzo Traverso e dall’altra la ringhiera del balcone. La libertà non poteva che essere in una direzione.